Calciomercato Milan: Mentre la dirigenza incassa, il Diavolo resta orfano dei suoi talenti
Il Milan non è più il Milan. E non per modo di dire. Non è solo la mancanza di trofei, la mediocrità tecnica o il declino del prestigio internazionale. È la cessione progressiva e silenziosa dell’identità. È il lento, metodico smantellamento di una storia gloriosa a favore di un modello gestionale da discount, dove ogni risorsa ha un prezzo e ogni gloria un valore di mercato. Calciomercato Milan: Il Diavolo piange, Redbird incassa

A pochi giorni dalla fine di una stagione già miserabile sotto ogni aspetto, le notizie che filtrano da Casa Milan gettano ulteriore benzina sul fuoco. Stamane ecco la notizia di Tijjani Reijnders venduto al Manchester City per una cifra intorno ai 75mln di euro e poco fa come se non bastasse ecco giungere la notizia del possibile saluto anche di Theo Hernandez, tentato da un’offerta araba che profuma di addio. In aggiunta i rinnovi di Mike Maignan e Christian Pulisic bloccati, congelati da una dirigenza che predica stabilità e programmazione ma vive nella precarietà e nell’ipocrisia.
Il Milan aveva assicurato, a voce alta e chiara, che non ci sarebbe stata necessità di vendere. “Nessun big partirà”, dissero. “Non siamo un club che ha bisogno di fare cassa.” E invece, eccoci qui, le colonne portanti della rosa, uomini attorno ai quali costruire una squadra vincente, sono ora in uscita. Perché? Perché la proprietà ha una sola vera priorità. Generare profitto.
Il volto dell’ambiguitá: Giorgio Furlani
Giorgio Furlani, AD rossonero, è ormai simbolo di questo nuovo Milan senz’anima. Il suo insediamento ha rappresentato la rottura definitiva con il modello precedente. Con Paolo Maldini messo alla porta senza rispetto, è sparito anche l’ultimo barlume di visione sportiva. Da quel momento, il Milan è diventato un PowerPoint di Excel e grafici. Un’azienda che tratta i suoi talenti come asset, non come uomini o simboli.
La gestione tecnica è stata dilettantesca. Smantellato un reparto dirigenziale con competenze e passione, lasciato tutto nelle mani di un uomo di finanza e un consiglio d’amministrazione che non ha idea di cosa significhi indossare quella maglia. La squadra, di riflesso, è diventata confusa, scollegata, priva di una guida.
L’uomo copertina: Zlatan Ibrahimovic
E poi c’è Ibrahimović. Tornato come figura iconica, il suo ruolo è tanto misterioso quanto deludente. Doveva essere garante di mentalità, ponte tra passato e futuro, uomo forte nello spogliatoio e nei corridoi del potere. Ma dov’era Zlatan quando hanno cacciato Maldini? Dov’era quando sono arrivate offerte per Leao, Maignan, Theo? Quando Furlani si muoveva da solo nei corridoi, dove si trovava l’uomo che “non accetta la mediocrità”? In silenzio. E nel silenzio ha contribuito al grande inganno.
Lo specchietto per le allode: Igli Tare e Max Allegri
In mezzo a questo disastro sistemico, il Milan ha cercato di gettare acqua sul fuoco con due mosse annunciate come “di svolta”. L’innesto di Igli Tare e il probabile ritorno in panchina di Massimiliano Allegri. Ma a ben guardare, sembrano più una toppa mal cucita che una vera inversione di rotta. Il classico specchietto per le allodole.
Tare è un dirigente capace, con un curriculum rispettabile, ma non ha poteri pieni né la struttura attorno per incidere in profondità. È stato accolto come il nuovo DS ma in realtà si muove in una gabbia dorata dove ogni mossa deve passare al vaglio del board. Allegri, d’altro canto, è visto da molti come il ritorno alla solidità, ma sembra più un’operazione nostalgia fatta per placare il malumore popolare che una scelta convinta e strategica. È un calmante momentaneo, un cerotto per una ferita profonda.
RedBird sa che il tifoso medio si illude davanti a un nome importante, ma la realtà è che senza un progetto tecnico vero, senza investimenti mirati e senza il coraggio di tenere i migliori, anche Allegri potrà fare ben poco.
Le vere vittime: I tifosi
I tifosi, un tempo cuore pulsante, ora vengono presi in giro. Contestano sotto Casa Milan, affiggono cartelloni in città con il volto di Maldini. Urlano, scrivono, soffrono, anche se forse in maniera colpevolmente tardiva. Dall’altra parte peró c’è un muro. Le loro parole non valgono più niente in un’era in cui una plusvalenza conta più di uno Scudetto. Il Milan è dei milanisti, non degli algoritmi. Il Milan non può sopravvivere se ogni estate diventa una svendita. Il tempo delle scuse è finito. Se Furlani, Ibrahimović e RedBird non sono in grado di proteggere e valorizzare questo club, abbiano almeno il coraggio di farsi da parte.
Perché il Milan non è una start-up. È una leggenda. E una leggenda non si svende. Si onora.
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